Con la storia di Isola s’intreccia quella del fiume Liri (anticamente chiamato Clanis, poi Liris) che è sempre stato fattore determinante dello sviluppo della cittadina. Purtroppo, una fitta oscurità avvolge l’epoca che va dal primo apparire dell’uomo su queste terre a qualche millennio prima di Cristo, quando, troviamo questo territorio sede del popolo campano. Nei tempi che precedettero la formazione di Roma, l’Isola divenne sede dei Volsci. Anche se non esiste alcuna documentazione storica, si deve ritenere che Isola doveva essere un centro abitato di notevole importanza a giudicare dalla necropoli volsca, scoperta nella località “Nazareth” nel 1886, mentre si procedeva agli scavi per la costruzione della ferrovia Roccasecca-Avezzano sulla riva sinistra del fiume. La necropoli, solo parzialmente esplorata, mise in luce una cinquantina di sepolcri consistenti in fosse rettangolari e vasi in terracotta, armi, bronzi e crani umani, che l’antropologo Giustiniano Nicolucci, isolano, studiò e classificò, dando un notevole contributo alla nostra storia più remota. Villaggi più antichi erano situati sul colle San Sebastiano, in località Fòrli (Forulum) e su Monte Montano a controllo dei percorsi lungo il fiume Liri. In epoca romana questa zona divenne un’importante punto obbligato di passaggio, quindi di sosta e di mercato, sia per la strada che conduceva per Fregellae, sia per la strada che da Sora si dirigeva verso Cereate e Veroli, che attraversava il Liri con il Ponte Marmone ancora oggi visibile nei pressi di San Domenico. Testimoniano la presenza di questi centri i materiali archeologici ritrovati, nella zona di Fòrli, databili in genere al I sec. a.C. (iscrizioni funerarie, un cippo “a pigna”, tombe alla cappuccina, ecc.). L’Isola volsca, appartenente allora all’agro romano, dovette subire le stesse vicende della vicina Arpinum, che sul finire del IV sec. a.C., troviamo insieme a Sora, alleata dei Sanniti contro i Romani. Le due cittadine, in seguito, furono conquistate e sottomesse definitivamente, nel 305 a.C., al dominio di Roma.
Sicuramente il sistema viario locale rimase agibile almeno fino al IV secolo d.C., poichè si conserva nell’abbazia di San Domenico un cippo miliare, risalente a Massenzio, del 306-312 d.C.. Da questo momento su questa zona non si hanno più notizie. Dalla storia medievale si hanno, di nuovo, documentazioni, che attestano le origini del nucleo abitativo del centro storico di Isola. Intorno all’anno 1010, il gestaldo di Sora ed Arpino, Pietro I° Rachis, dette la giurisdizione di questo territorio ai suoi figli; da essi ne derivò, probabilmente, la denominazione di “Insula Filiorum Petri” che Isola conservò fino all’Evo Moderno. Fu questa l’epoca in cui Isola si stacca completamente da Arpino e comincia ad avere una sua vita civica. La prima volta che un documento parla del Castello di Isola del Liri (Castellum Insulae), si ha con la “bolla pontificia” di papa Pasquale II, diretta al vescovo di Sora, Goffrido (o Roffrido, o Loffrido), nel 1100. In questo documento in pergamena, il papa elenca tutti i castelli e le chiese appartenenti alla Diocesi di Sora; fra questi figura anche il Castello di Isola, che a quel tempo si chiamava Isola di Sora. Esso doveva essere un possente bastione a guardia del fiume, in un’epoca di continue invasioni e di alterni dominatori. Nel Catalogo dei Baroni del Regno Napoletano, probabilmente databile al 1187, risulta che Roffredo di Isola e suo nipote possedevano Isola di Sora e Castelluccio (Castelliri), “feudo di due militi, ma che potevano offrire otto militi e dieci inservienti”. All’epoca dei Normanni risalgono diversi documenti (in genere di carattere religioso) nei quali troviamo esplicitamente nominata Isola e le Signorie vicine, per le quali combatterono Signorotti (da Enrico IV a Corrado di Marlenheim) e Papato contendendosi queste terre per anni ed alternandosi nel loro dominio. Nel frattempo, Isola subiva danni dovuti a così frequenti cambi di potere, come nella contesa tra il papa Innocenzo III e l’imperatore suo figlioccio Federico II: la Contea di Sora, cui Isola apparteneva, perchè si opponeva all’imperatore, pagò la sua resistenza con distruzioni a ferro e fuoco. La storia di Isola e Castelluccio, sempre coniugata con quella della vicina Sora, è destinata a rimanere ancora vittima delle lotte tra Aragonesi ed Angioini che portò, nel 1475, il ducato di Sora a Leonardo della Rovere e a Giovanni d’Aragona della Rovere. Ma la famiglia destinata ad essere legata alla stroria di Isola, doveva essere quella dei Boncompagni, che nella persona di Giacomo Boncompagni, marchese di Vignola, figlio del papa Gregorio XIII, acquistò, nel 1580, il ducato di Sora, per 100.000 scudi d’oro. Da questo momento ebbe inizio, per Isola, un periodo di benessere, di pace e di progresso. Il Castello di Isola, per la sua posizione naturale, fu scelto, già dal primo duca, come residenza abituale della corte e della famiglia; nel lussuoso palazzo fu costruito perfino un teatro e su ambo i rami del fiume Liri, ponti levatoi, per i quali si accedeva al Castello. I Boncompagni impiantarono, inoltre, una rameria e una fabbrica di panni di lana nella contrada che prese il nome di Gualcatoio (oggi Valcatoio); nella località Carnello sorse una cartiera, azionata dalle acque del Fibreno; introdussero, infine, l’arte della seta. Ai Boncompagni si deve anche la costruzione di edifici religiosi quali: il Convento dei Francescani (trasformato dai francesi, agli inizi del secolo XIX, nella Cartiera del Fibreno); la Cappella di Santa Maria delle Grazie e la Chiesa di S. Lorenzo, nel centro del paese, ai piedi del castello. I Boncompagni domineranno su Isola fino al 1796, quando questo territorio passò al Regio Demanio di Napoli e il Castello si chiamò, quindi, Regio Palazzo; da questo momento seguì un’epoca di violenze e di terrore. Gli ultimi anni del Settecento furono segnati, come in tutta l’Europa, dalle conseguenze della Rivoluzione francese e dai tristi effetti del brigantaggio. Il paese, situato in una zona di confine tra lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli, subì saccheggi e massacri ad opera delle truppe francesi e divenne bersaglio delle violenze di gruppi di banditi locali; il più famoso fu il terribile “Mammone”. In particolare è da ricordare un’episodio tra i più terribili di questo periodo. Dopo la proclamazione della Repubblica romana e della Repubblica partenopea, la popolazione di Isola, schieratasi dalla parte del vecchio Regime sotto la guida del brigante Gaetano Mammone, esplose in una insurrezione. Ne conseguì una violenta azione di repressione da parte delle truppe francesi che, provenienti da Napoli e dirette verso il nord Italia, avendo avuto negato il passaggio ad Isola, diedero inizio ad un furibondo massacro. Era il 12 maggio 1799, nella Chiesa di San Lorenzo vennero trucidate 350 persone che vi avevano cercato rifugio alla violenza francese, ma il bilancio totale della carneficina fu di 600 morti. Tutto il territorio del paese subì saccheggi, incendi e dissolutezze inaudite e in due giorni fu trasformato in terra devastata. Gli scampati alla strage tornarono ad Isola dopo che a Napoli, nel giugno 1799, fu ristabilito il governo borbonico. Ma si trattò solo di un intermezzo, nel febbraio 1806 Giuseppe Bonaparte, fratello dell’Imperatore Napoleone, fece il suo ingresso a Napoli e nel settembre dello stesso anno gli successe Gioacchino Murat. E’ a seguito della politica del Governo Borbonico per incoraggiare gli imprenditori e favorire la nascita e lo sviluppo delle industrie del Mezzogiorno, che furono varate una serie di leggi, tra cui quella che elevava il dazio sulla importazione della carta e sulla esportazione degli stracci, in quel tempo unica materia prima nella produzione cartacea. L’industria della carta, quindi ebbe una notevole espansione in alcune zone del Regno di Napoli. La Valle del Liri, attraversata dal fiume omonimo e da un ricco affluente quale il Fibreno, rappresentò uno di questi luoghi. Grazie alle sue acque, che potevano produrre forza motrice per le macchine industriali, la cittadina ebbe un notevole impulso sotto il dominio francese, all’inizio dell’Ottocento. Infatti, ai connazionali di Murat, Viceré di Napoli, essa si presentava come una terra dotata di grosse potenzialità, mai pienamente sfruttata, con un corso fluviale ricco di balze naturali, adatte a generare forza idraulica e con un affluente, il Fibreno, dotato di acque chiare idonee alla fermentazione degli stracci (materia base per la fabbricazione della carta, prima del legno usato in tempi recenti). La prima cartiera che nel Regno di Napoli adotterà i metodi più progrediti, sarà proprio ad Isola Liri, quella allestita, nel 1812, da Antonio Beranger, nell’ex Convento di S. Maria delle Forme (divenuto ex per via delle Leggi napoleoniche sui beni della Chiesa). Al Beranger succederà Carlo Lefebvre, fondatore della storica Cartiera del Fibreno, nella quale porterà la macchina “senza fine”, prima in Italia, ed acquistò per merito il titolo di Conte di Balsorano. Nello spazio di poco più di un ventennio, si venne così a costituire, nella Valle del Liri, il più grosso centro cartario del Regno (nel 1831 nella Cartiera di Lefebvre lavoravano 200 persone, 40 in quella di Courrier e Lambert). Altri nomi francesi si aggiunsero ai nomi di imprenditori di Isola: da Rossinger a Boimond, da Courrier ad Emery, solo per nominare i più conosciuti. Una società distinta e brillante animò la vita della cittadina, con feste da ballo ed iniziative culturali, che si svolgevano nelle ville padronali, costruite nei pressi delle fabbriche, per lo più nella parte alta della città, che si lusingava di chiamarsi “piccola Parigi”. Verso la fine dell’800, le fabbriche di Isola del Liri, un dì prosperose, vivevano una vita faticosa, resa difficile dalle condizioni sfavorevoli, quali il mancato ammodernamento dei macchinari, la mancanza di spediti mezzi di comunicazione e di trasporto e le continue proroghe all’apertura del tronco Arce-Sora, della linea ferroviaria Rocca-secca-Avezzano. Il lavoro mancava ed alcuni stabilimenti erano in completa inattività; co-me avvenne anche alla Cartiera del Fibreno che, nel 1888, chiuse i battenti, ma che, nel 1907, fu acquistata dalla Società delle Cartiere Meridionali. Dal secolo XIX e per quasi tutto il XX secolo, Isola del Liri è stata un importante polo dell’industria cartaria e non solo, essendo presenti sul suo territorio anche feltrifici, lanifici, fonderie ed industrie cartotecniche. Purtroppo dagli anni ‘70 in poi, una mancata modernizzazione degli impianti ed un generale declino dell’industria cartaria in Italia, hanno determinato prima la cassaintegrazione e poi la chiusura di buona parte delle industrie. Oggi la città è impegnata in un’operazione di recupero del suo passato, prestando attenzione ad altri campi non specificatamente industriali quali la cultura ed il turismo. Di recente è stata portata alla luce e si sta restaurando, l’antica Cartiera Fibreno-Lefebvre, che diventerà sede del “Museo della Civiltà della Carta”, in cui si potrà rivivere la centenaria tradizione cartaria di Isola del Liri. Nell’area della ex Cartiera Boimond si sta realizzando un Acquario di acqua dolce, secondo in Europa; nel contempo, sono in corso le ristrutturazioni delle ex Cartiere Meridionali e dell’ex Lanificio S.Francesco (oggi Auditorium New Orleans) da destinare ad attività economiche, culturali e sociali.
L’intitolazione della strada Via Arciprete Villa
Nell’anno 1951 il commissario Prefettizio che governava il comune di Isola del Liri, decise di rinnovare la toponomastica del paese nominando un’apposita commissione così composta: Dott. Tommaso Bevivino (Commissario Prefettizio Presidente) – Prof. Modesto Galante (Preside Scuola Media Statale) – Dott. Gioacchino Baisi (Medico Chirurgo Condotto) – Dott. Alfredo Quaglia (Ufficiale Sanitario) – Dott. Glauco Sarra (Industriale) – Dott. Vinicio Mancini (Presidente E.C.A.) – Rev.mo Don Federico Mazza (Arciprete-Parroco).
Con l’assistenza del geom. Enrico Rosati, Tecnico Comunale ed il sig. Carmine Rotondi (detto Rotondino), per la parte storica.
La commissione, dopo vari mesi di lavoro, decise, tra l’altro, di sostituire una strada in località Capitino da Via Carlo Zuccari a via ARCIPRETE VILLA con la seguente motivazione:
“Figlio di Antonio Villa e Giacoma Mascella, laureato in Teologia, Filosofia e belle lettere, fu predicatore fecondo e di bella fama e che alla lode di lui se ne schermiva col ripetere essere figlio di un povero sarto”.
Ai suoi dì e precisamente il 28.09.1837, quando infieriva il colera ad Isola del Liri, egli riunì la popolazione nel capocroce e chiuse la predica con queste parole:
“Signore! Se per espiazione è necessario il sangue mio, fa o Signore ceh io muoia in questo momento”
Dio ascoltò le preghiere del buona arciprete e l’indomani, 29.09.1837, egli volò al cielo e con la morte di lui cessò repentinamente il flagello del paese.
Fu sotterrato nella chiesa di Nazareth ove ognuno versò una lacrima sulla tomba di lui.
Questa storia che si è tramandata attraverso le generazioni, dimostra che DON FRANCESCO VILLA, Arciprete-Parroco della Collegiata di S.Lorenzo è stata una figura di grande modestia ma di straordinaria statura, fino a sacrificare la propria vita in favore della popolazione isolana. Oggi, purtroppo, questa storia è poco conosciuta se non, addirittura, dimenticata.
Ricerca effettuata da E. Bartolomucci in collaborazione con Anna Maria Fiorelli e Paolo Gabriele